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In Italia, il riutilizzo diretto delle acque reflue (principalmente in ambito industriale e agricolo) non è una pratica diffusa, per una serie di ragioni...

La situazione in Italia

In Italia, il riutilizzo diretto delle acque reflue (principalmente in ambito industriale e agricolo) non è una pratica diffusa, per una serie di ragioni di tipo tecnico, economico, normativo e sociale.
L’entrata in vigore del D.M. 185/03 e l’elaborazione dei PTA regionali
ha reso di particolare attualità la tematica.
La normativa, indirettamente, spinge verso il riutilizzo:
la legge 36/94 – Legge Galli (abrogata ed al contempo recepita dal D.Lgs 152/2006), definiva come prioritario l’uso dell’acqua per il consumo
umano. La norma è corretta, trovandosi però nel caso di “utilizzi in competizione” (Water stress > 20), vengono ovviamente penalizzati l’utilizzo agricolo ed industriale.
Sempre la legge 36/94 prevede che per i corpi idrici sia garantito il deflusso minimo vitale.
Questo comporta una diminuzione delle concessioni per derivazioni a fini irrigui. Anche in questo caso la norma è corretta ma penalizza i settori produttivi: agricoltura ed industria.
La scelta effettuata dalle aziende in materia di fonte di approvvigionamento e di eventuale ricorso al riciclo delle proprie
acque o al reimpiego di acque reflue depurate è determinata, sostanzialmente, da considerazioni economiche
D’altra parte la normativa non incentiva direttamente il riutilizzo.

Ad esempio i costi di investimento per la costruzione degli impianti di trattamento nell’area di Prato variano da 0,05 a 0,25 Euro/m3 , in funzione della complessità dell’impianto ed i costi di esercizio variano da 0,25 a 0,55 Euro/m3.
L’approvvigionamento di acqua da pozzi o da corpi idrici superficiali ha un costo intorno a 0,02 Euro/m3
Appare evidente che né gli agricoltori, né le industria che attualmente si rivolgono a tali fonti di approvvigionamento possono avere interesse al riutilizzo.

Diverso è il caso dell’approvvigionamento da acquedotto, i cui costi sono solitamente compresi tra 0,5 e 0,8 Euro/m3 .
Il riutilizzo di acque reflue depurate, ove sia ritenuto opportuno, è legato quindi ad interventi normativi che incidano sui costi di approvvigionamento da altre fonti e/o al divieto di approvvigionamento da fonti più nobili.
Un incentivo diretto al riutilizzo la normativa italiana lo contiene.
Il riferimento al “riutilizzo delle acque di scarico è presente nel D.Lgs 152/99 all’art. 28 comma 10, ed è ripreso integralmente dal D.Lgs 152/2006 all’art. 101 comma 10.

Art. 28 c. 10 D.Lgs 152/99. Cita:
Le Autorità competenti possono promuovere e stipulare accordi e contratti di programma con soggetti economici interessati, al fine di
favorire il risparmio idrico, il riutilizzo delle acque di scarico e il recupero come materia prima dei fanghi di depurazione, con la possibilità di ricorrere a strumenti economici, di stabilire
agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi e di fissare, per le sostanze ritenute utili, limiti agli scarichi in deroga alla disciplina
generale ...
In pratica gli Accordi di programma previsti dalla normativa fanno in modo che, attraverso un intervento pubblico (Ministero, Regione,
Provincia), ai soggetti economici interessati, si renda conveniente o almeno, non sconveniente, il riutilizzo delle acque reflue.

Questo meccanismo ha un costo per il cittadino ma porta, se correttamente usato, anche un vantaggio:
ad esempio sono già attive numerose esperienze di riutilizzo

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